I fiori di William Shakespeare
La storia dell'umanità è da sempre profondamente intrecciata a quella dei fiori e delle piante. Come ho avuto già modo di scrivere in passato, i nostri antenati che vivevano a stretto contatto con la natura, ne accoglievano ogni forma nella loro quotidianità: il paesaggio rurale ospitava le loro attività, dal mattino alla sera ne era la cornice. Tutti conoscevano gli usi che si potevano fare delle piante sia dal punto di vista culinario che medicinale. Fiori ed erbe erano parte dell'immaginario collettivo tanto da acquisire significati simbolici poi codificati nel così detto Linguaggio dei fiori che sto studiando da qualche tempo e che sarebbe bello far tornare un po' di moda.
Foeniculum (finocchio selvatico) e Aquilegia
'Sei degno di ammirazione per il tuo coraggio e la tua saggezza'
(sia il finocchio che l'acquilegia sono legati al tema del coraggio, della forza e della capacità di sopportazione. Tra i loro significati, tuttavia, troviamo anche il dolore, il lutto e l'abbandono. Se si dona un bouquet con lo scopo di comunicare un messaggio e i fiori scelti hanno significati ambivalenti o contrastanti è sempre bene accompagnarli con un biglietto che ne spieghi il messaggio che vogliamo comunicare)
Dirlo con i fiori, è stata un'abitudine molto in voga fino a tutto il 1800, ma già diffusa nel 1500 e più precisamente nel periodo in cui visse e lavorò William Shakespeare (1564-1616), l'epoca d'oro della grande Elisabetta I che favorì il prosperare delle arti in terra di Albione.
Il Bardo di Stratford-upon-Avon era un uomo profondamente radicato nel suo tempo. In tutti i suoi capolavori ci racconta uno spaccato della sua epoca, più o meno trasfigurato da ambientazioni storiche o esotiche. Usi e costumi, abitudini alimentari, tradizioni, svaghi, intrighi di corte e superstizioni sono gli ingredienti che Shakespeare usa per rendere vivo il suo racconto. Nelle battute dei personaggi, principi, principesse, fate, mercanti, spietati despoti o folletti che siano, vive un'epoca, vive un mondo al quale fa da cornice la saggezza popolare che affonda le sue radici nella natura. Del resto Shakespeare amava profondamente i fiori, li conosceva, li coltivava e li usava nelle sue opere proprio in riferimento al loro valore simbolico. Non bisogna dimenticare che il 1500 era ancora un'epoca profondamente imbevuta di superstizioni con le sembianze di fate, folletti e streghe che attingevano alla natura per le loro pozioni e i loro rituali.
Una delle opere nelle quali questo valore magico della natura è maggiormente presente è 'Sogno di una notte di mezza estate'. Qui piante e fiori ritornano più volte, soprattutto con scopo descrittivo: nella radura del bosco dove ama dormire Titania, Regina delle fate, crescono timo, violette, la rosa canina e primule. Tutta la vicenda ruota intorno ad una pozione di viole con il potere di far innamorare del primo fanciullo o fanciulla che si vedrà al proprio risveglio. Il pasticcione Puck ci mette lo zampino per sovvertitre i piani di Oberon in quel gioco di incomprensioni ed errori casuali che il Bardo tanto amava.
Viola tricolor: 'Ti penso con amore. Ricordati di me.'
Shakespeare chiama la viola del pensiero: 'Love-in-idleness', amore vano. Il Re Oberon, pentito per aver indotto la moglie ad innamorarsi di un asino grazie al sua pozione a base viole, tocca i suoi occhi con un unguento di Artemisia abrotanum, cosnsiderata un potente antidoto contro ogni stregoneria.
Nell' 'Amleto', Ofelia distrutta dal dolore per la morte del padre raccoglie fiori ed erbe che descrive minuziosamente:
'Ecco il rosmarino che fortifica le rimembranze; amore, te ne prego, ricordami; ed ecco il fiore del pensiero......Eccovi erbe per voi, e ecco per voi ruta, e ne tengo un poco anche per me.... la potremmo chiamare l’erba di grazia della domenica; oh la dovete portare con devozione.... Ecco una margherita... vorrei darvi anche qualche viola, ma avvizzirono tutte quando mio padre mori. Dicono facesse un buon fine.... «Perocchè il caro Robin e tutta la mia gioia....'
Ophelia, Millet 1851-52
Da lì a poco, la fanciulla intenta ad adornare le fronde di un salice con corone di fiori, scivola nel rio e decide di lasciarsi andare alla morte. Una delle scene più famose della letteratura inglese trasposta magistralmente su tela dal pittore Pre-Raffaelita Millais. Nei dettagli del capolavoro sono ancora i fiori, con la loro simbologia, a raccontare la disperazione della fanciulla.
(https://garlandsofhearts.blogspot.com/2018/05/principe-carlo-custode-del-paesaggio.html).
Scegliendo di nominare una pianta o un fiore nelle sue opere, Shakespeare non doveva preoccuparsi che i suoi spettatori ne capissero il significato, tutti sapevano cosa volessero indicare il rosmarino, la violetta o la margherita e quali potenziali poteri potessero avere. Il sapere popolare condiviso all'epoca non necessitava delle note a piè di pagina che, invece, aiutano noi oggi a capire il messaggio che l'autore voleva trasmettere usando quella specifica pianta. Con l'avvento dell'industrializzazione ci siamo sempre più allontanati dal mondo della natura, relegandolo sullo sfondo della nostra vita e perdendo la capacità di comunicare attraverso la simbologia dei suoi elementi, un antico sapere che affascina e conquista chi decide di invertire la rotta del proprio cammino per provare a ritrovare nel mondo naturale un ritmo più lenta che conduce alla serenità.
Le illustrazioni e alcune informazioni sono tratte dal bellissimo libro di Jessica Kerr Shakespeare's flowers
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